Gli Scacchi di Venafro

L’11 luglio a Guardia Sanframondi, splendido borgo medievale nel Sannio in provincia di Benevento, si è svolta una conferenza sugli scacchi di Venafro, con qualificate riflessioni rivolte sia agli appassionati di storia degli scacchi, ma anche di filosofia o curiosità culturale. L’argomento è stato indagato per mezzo della presentazione di un volume, curato da Antonio Sorbo, su questo eccezionale ritrovamento archeologico, costituito da diciotto pezzi in corno di cervo, alcuni dei quali con tracce di vernice rossa, datati al decimo secolo dopo Cristo col metodo del Carbonio 14. Questo approfondimento storico-filosofico ed archeo-etno-antropologico ha consentito di considerare gli scacchi a tutto tondo, nella loro dimensione sportiva, artistica, scientifica ed educativa, come rimedio per l’irrazionalità, l’indifferenza e la superficialità che dominano nella società contemporanea.
L’evento si è svolto nella cornice della Chiesa dell’Ave Grazia Plena, con il patrocinio dell’amministrazione comunale di Guardia Sanframondi ed è stato promosso dall’Associazione Icca (International Chess Connect Association) di Napoli, presieduta da Pino Esposito, con l’aiuto di Massimiliano Trematerra.
Il volume Gli scacchi di Venafro. Ipotesi interpretative e storia degli Scacchi più antichi d’Europa, curato da Antonio Sorbo per la Volturnia Edizioni, contiene vari contributi tra i quali la ripubblicazione, oggi introvabile, della monografia del 1994 di A. Chicco, pubblicata da L'Italia Scacchistica, a seguito della datazione degli scacchi in questione.

Segue una trascrizione (a cura della prof. Silvia Terracciano) del dibattito, moderato e condotto dalla professoressa Terracciano come una sorta di intervista con i relatori.
Per ulteriori informazioni rivolgersi all'Associazione Icca (iccaonlus@virgilio.it).


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I relatori al convegno di Guardia Sanframondi (foto di Tania Pennestri)


Terracciano – Assessore Del Vecchio. Perché ha scelto di patrocinare un convegno sugli scacchi di Venafro in questo luogo?

Del Vecchio – Anzitutto, la zona del Sannio, geo-politicamente, comprendeva vaste porzioni della Campania (Sannio beneventano) e del Molise. Storicamente, questa zona che si sviluppa intorno al massiccio del Matese, rappresenta la sede della tribù Pentra, la più fiera dei sanniti. In Molise, abbiamo avuto per decenni il rodeo del cavallo Pentro, che si svolgeva nel comprensorio di Montenero Valcocchiara, provincia di Isernia. Proprio, in provincia di Isernia si trova Venafro, con il suo castello Pandone. Per molto tempo, sede di un gastaldato longobardo, presieduto da gastaldi provenienti da Benevento.

Terracciano – Dunque, Guardia era luogo di passaggio per i gastaldi di Benevento nella via verso Venafro?

Del Vecchio – Certo! Uno di essi, Landolfo, è rimasto celebre perché ad un certo punto della sua vita donò i suoi averi all’abbazia di Montecassino e si fece monaco. Landolfo è celebre per aver edificato un ponte sul fiume Lenta, che gli consentisse di raggiungere da Benevento, sede del Principato, la contea di Venafro. Da questo ponte, è nato poi il toponimo di Pontelandolfo, paese martire a poche miglia da Guardia.
Guardia, come Venafro, erano collocate sulla via francigena del Sud. Il gioco degli scacchi, giunto dall’Oriente nella zona di Venafro, è stato – in brevissimo tempo – esportato anche in Francia: nel Castrum d’Andone, in località Vallejoubert, Francia centro-occidentale, sono stati ritrovati dei pezzi di scacchi della stessa fattura di quelli di Venafro, in corno di cervo, appartenuti al comandante del villaggio, il nobile Guglielmo II Tagliaferro.
Come non collegare i due ritrovamenti, pensando che a Landolfo, longobardo, succedette nel gastaldato della contea di Venafro, il normanno Ugo Morino? Il pensiero non può non andare alla famiglia normanna dei Sanframondi, da cui prende nome il paese.

Terracciano – Questo dato porterebbe a ritenere che non è corretto quanto sostenuto dalla vulgata intorno alla diffusione degli scacchi in occidente e, cioè, che essi siano stati divulgati dai conquistatori arabo-islamici. Indipendentemente da dette conquiste, la via francigena collegava direttamente il medioriente con l’Europa tutta in un cammino obbligato attraverso Venafro.

Trematerra – Ritengo che il Sannio rappresenti uno scrigno da indagare per scoprire la natura e le radici italiane e dell’Europa stessa: ed è proprio a Guardia Sanframondi che la International Chess Connect Association, nata a Napoli due anni fa, ha pensato di intraprendere il suo percorso che utilizza gli scacchi come veicolo per l’apprendimento del sapere da parte dei bambini e dei ragazzi.

Terracciano – Lei ha proposto, a partire dal materiale con cui sono stati realizzati gli scacchi di Venafro, una lettura del gioco degli scacchi proprio attraverso la simbologia del cervo.

Trematerra – Non è assolutamente casuale che questi pezzi siano stati costruiti con osso di corna di cervo: a quel tempo i pezzi destinati agli alti prelati erano di avorio, quelli destinati alla plebe di legno, e solo quelli che dovevano appartenere ai comandanti dei territori, del materiale in questione!

Terracciano – Cosa possiamo dedurne?

Trematerra – Venafro giace sulla sponda orientale del Volturno, esattamente come Castelnuovo al Volturno, ove ogni anno si assiste ad un cerimoniale denominato G-ciervo, ovvero l’uomo-cervo. Costui, da una parte, è un essere demoniaco, che incarna lo spirito distruttore della natura – alcuni vi riconnettono la tradizione del re dei boschi di Nemi di cui parla James Frazer, secondo cui ogni bosco sacro aveva un re che, periodicamente, doveva difenderlo. Ma, è anche, d’altra parte, la creatura antidemoniaca, per antonomasia: l’annuale perdita del palco delle corna è, da sempre, ricollegato dagli uomini, alla primavera ed alla rinascita: nella rappresentazione volturniana, dopo che Gi-Ciervo è stato ammazzato dal cacciatore, per intercessione delle Janare, egli rinasce e dà luogo ad una resurrezione.

Terracciano – Lei, Trematerra, vede quindi nella agonistica della lotta del re dei boschi una delle varie facce del gioco degli scacchi?

Trematerra – Come vedo nell’uso del medesimo materiale anche un simbolo dell’essenza del gioco: l’apprendimento della saggezza per mezzo di questa disciplina.

Terracciano – Si sommerebbero, quindi, nella simbologia della antica scacchiera di Venafro, sia quella sportiva che quella scientifica, per usare una terminologia contemporanea?

Trematerra – Anche religioso-artistica, oserei dire. Dato che il ritrovamento fa parte del corredo funebre di una tomba, il chè ne esalta il valore spirituale, balzano alla mente le parole del salmo 41 (42) di David, che recita, infatti, “come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a Te, o Dio”.
In questa ulteriore accezione, il cervo dà un nuovo insegnamento all’uomo: la prudenza. Riuscire, cioè, citando Dostoevskij, ad essere “nel mondo”, senza essere “del mondo”: anche in alcune basiliche antiche (san Savino - Piacenza, Colonia - Germania), essi vengono raffigurati, come allegoria della virtù della prudenza.

Terracciano – Vorrei quindi domandare al maestro Petruccioli se, alla luce delle cose dette sinora, non sia possibile affermare che, nella loro evoluzione millenaria, gli scacchi siano divenuti mezzo per giungere all’equilibrio della mente col corpo, della sfera maschile con quella femminile (come nel taoismo), dello spirito con la materia?

Petruccioli – Anche se ho redatto un capitolo del libro, mi sono oggi voluto soffermare, attraverso una dimostrazione pratica che coinvolge il pubblico, sul discorso della poetica per immagini. Marcel Duchamp comprese che il disvelamento del vero impone di andare oltre le proprie sensazioni visive. La retina per il fruitore dell’arte visiva, costituiva per lui un grave ostacolo da superare, per giungere alla purezza della emozione e quindi ad una coscienza nitida e collegata con l’universale, allo stesso modo in cui la brama di vincere rappresenta l’ostacolo sensibile per il giocatore di scacchi. Egli colse negli scacchi la possibilità di uscire da se stessi, poiché essi rappresentano, secondo la sua definizione, una poetica per immagini. Si può giocare a scacchi per tanti motivi, ma il più sublime e nobile è sfiorare l’infinito e lasciarsi accarezzare dalla armonia universale di tutte le cose. Ed è per questa potenzialità logica che gli scacchi hanno, che Siegbert Tarrasch, in un noto aforisma, affermò che “gli scacchi, come l’amore e la musica, hanno il potere di rendere l’uomo felice”.

Terracciano – Al nostro ultimo relatore Alessandro Pompa domando di raccontarci, alla luce della sua esperienza di divulgatore di sport della mente, come mettere la felicità di cui ci ha parlato Petruccioli, al servizio dell’infanzia e della prima adolescenza, in una logica educativa.

Pompa – pongo in risalto come sui celeberrimi Scacchi di Venafro, a “mettersi in gioco” fra i primi in Italia fu proprio un illustre appassionato di giochi Sannita, molisano DOC, Sebastiano Izzo. Il 24 Luglio ricorre il 25° anniversario della scomparsa, dopo una vita libera, varia e interessante, Ma il grande Sebastiano è più vivo che mai. Da segretario nazionale – gli succedette da Presidente una persona meravigliosa, Ferruccio Ferucci -, fu con Giancarlo Sacripanti, Antonio Rosino e Giuseppe Ascenzo Lombardi il vero “ideologo” e artefice di quei miracoli ludico-associativi italiani che furono l’ARCI e l’ARCI Dama-Scacchi (poi Unione Giochi) e la visionaria rivista Contromossa, unica in Italia e forse nel mondo a unire prima Dama e Scacchi (dal 1974 al 1982), poi addirittura tutti i giochi e gli Sport della Mente. Da eccezionale divulgatore, appassionato e studioso quale era, scrisse più volte dei famosissimi “Scacchi di Venafro”; come ne scrissero Adriano Chicco e Antonio Rosino nella Storia degli Scacchi in Italia (Marsilio, Venezia, 1990).
Ma Sebastiano fece ancora di più: rifacendosi alle celebri opere del Murray, elaborò una vera e propria teoria sull’origine dei giochi da tavoliere immedesimandosi nelle più remote, arcaiche, profonde pulsioni dell’uomo. Le sue riflessioni furono condensate in due ricchissimi articoli, densi di suggestioni e di spunti, pubblicati su PagineUisp n. 15 del 1991, che ben potrebbero iscriversi a pieno titolo fra i contributi maggiori dati alla storia del gioco e degli scacchi, non solo in Italia.
Venafro, luogo del ritrovamento, e Guardia Sanframondi, sicuro punto di passaggio dei famosi scacchi – furono quindi, in pratica, i crocevia, del primo approdo in Europa della più evoluta tra le rappresentazioni del mondo: quelle ludiche, che lo “mettono in gioco” fisicamente e metafisicamente.
Sebastiano Izzo è stato il crocevia di tutte le idee sul gioco in Italia, con il suo approccio curioso ed eclettico, aperto ad ogni diversità. Obiettivi dichiarati: diffusione capillare del gioco e degli scacchi, valorizzazione dei loro contenuti educativi, culturali, associativi e sportivi.
Negli ultimi anni, la nostra Federazione (obiettivo dichiarato: crescita tecnica e agonistica dei giocatori) si è dovuta aprire pian piano ai valori educativi e promozionali del gioco, di cui non può più fare a meno. Per questo, si chiese nel 2014 ad Alessandro Dominici (responsabile scacchi MSP) e a me (da sempre dirigente UISP/Scacchi e non certo un “uomo della Federazione”) di parlare di “psicomotricità scacchistica” in riferimento alle esperienze da noi maturate nell’ambito di due grandi Enti di promozione sportiva, chiarendo anche in quale modo considerassimo gli scacchi uno “sport”.

Terracciano – Dunque, le considerazioni sugli antichi scacchi di Venafro tornano attuali in chiave educativa?

Pompa – Certo! Preparammo una sorta di sintesi del libro, che mette in relazione il corpo e la mente e parla di tanti giochi di “Acchiapparella” e di “Nascondino” applicati al gioco degli scacchi: quel percorso didattico, quell’insieme di giochi individuali e di gruppo su scacchiera da pavimento basato sul corpo e sulle emozioni e volto al conseguimento “agito” dei prerequisiti spaziali nella scuola dell’infanzia (applicabile anche nella scuola primaria).
Quella che oggi viene chiamata psico-motricità scacchistica e porta di fatto ai fondamentali degli scacchi: l’unico gioco al mondo con regole tali da poter simboleggiare a tutto tondo la “conquista dello spazio” nell’evoluzione umana, dalle caverne alle stelle; quell’evoluzione magicamente evocata dal genio di Stanley Kubrick nel suo meraviglioso film “2001: Odissea nello spazio” (1975): un’Odissea a lieto fine.

Terracciano – In questa chiave, gli scacchi vanno intesi non come “fine”, ma come mezzo?

Pompa – Gli scacchi, gioco completo, con movimenti dei pezzi armoniosi e complementari, sono in potenza la più grande simbolizzazione ludica esistente nello sport e nella vita.
I valori sportivi, educativi, culturali del gioco sono una necessità sociale primaria, un rapporto da riconquistare, un progetto ideale e organizzativo in via di sviluppo nelle integrazioni che seguiranno: dalla scuola al territorio, alla Società, alle manifestazioni scacchistiche e ludiche, alla formazione di docenti di ogni ordine e grado operatori socio-sanitari e delle relazioni di aiuto, educatori (non più “istruttori”) in un vero Sistema integrato di formazione scacchistica.
I bambini sono ovviamente i destinatari principali del talento e delle competenze di ogni istruttore (o, meglio, “educatore”).

Terracciano – Congedando i relatori, voglio confessare che nella mia carriera umanistica, questo è, forse, il primo approccio profondo agli scacchi che ho avuto l’occasione di vivere. La mia impressione è che si tratti di una attività fortemente etica. Con l’ethos, “etica”, ciò che deve essere costume dell’uomo, l’anima umana per la prima volta ha proteso se stessa verso l’inconoscibile: la ricerca di una giustizia che fosse superiore all’uomo, soprannaturale. Nell’antica Grecia, la nascita delle prime norme giuridiche (che i giuristi romani poi chiameranno ius, “diritto”), volte a regolare i rapporti con lo Stato e tra le persone, è parallela alla nascita della tragedia, che corrode e scarnifica il rapporto stesso tra legge umana (transeunte, a immagine e somiglianza dell’uomo) e “divina”, laicamente intesa come tensione ad una verità superiore: ab-soluta, cioè “sciolta da vincoli”.
Devo, infine, riconoscere che, grazie ai preziosi Scacchi più antichi d’Europa, protagonisti di questo meraviglioso dibattito, siamo stati aiutati ad indagare la natura di questa comune passione, nella convinzione, in codesto modo, di riuscirne a descriverne meglio lo spirito.
Ce n’est pas qu’un debut.


NOTA DELLA REDAZIONE:
Per chi fosse interessato ad approfondire, un articolo correlato, scritto da Alessandro Sanvito nel 1992, è all’interno del libro “34° Torneo di Capodanno, Reggio Emilia 1991-92″ (ediz. Messaggerie Scacchistiche 1992 https://www.messaggeriescacchistiche.com/store/product/34-torneo-di-capodanno-reggio-emilia-1991-199...) ed è intitolato  “Gli otto pezzi di scacchi delle Catacombe di San Sebastiano”, nel quale Sanvito ipotizza che gli scacchi “delle catacombe” potrebbero essere precedenti a quelli di Venafro. Infatti i pezzi custoditi al Museo Sacro della Biblioteca Apostolica Vaticana (inventariati dal n. 2179 al 2187) sono quasi identici a quelli di Venafro, come si vede chiaramente nella fotografia all’interno del libro. Gli Scacchi delle Catacombe sono classificati da Sanvito di “inequivocabile foggia araba” e vennero esposti al pubblico una sola volta, a Reggio Emilia durante lo storico torneo di Capodanno del 1991-92.

Un altro set di scacchi molto simili a quelli di Venafro si trova al museo di Sandomierz, in Polonia. Gli scacchi di Sandomierz, scoperti nel 1962, sono anch'essi intagliati in corno di cervo, e sono stati datati XII – XIII secolo. Vedi: http://www.zamek-sandomierz.pl/691-wracamy-z-muzealnym-klubem-szachowym

Un altro articolo sull'argomento si trova qui: http://soloscacchi.altervista.org/?p=25294

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