Ancora poche le donne negli scacchi

La Federazione scacchistica internazionale ha promosso l’anno 2022 come “The Year of the Woman in Chess” e in questo ambito ha recentemente assegnato i Woman in Chess Awards a tredici personalità che si sono distinte in vari ambiti di attività. Tra queste Cristina Pernici Rigo è stata premiata come migliore organizzatrice di tornei.
Un’iniziativa lodevole, ma che non incide sul problema della scarsa partecipazione femminile ai tornei e non risolve la questione, tanto dibattuta a proposito e a sproposito, se il mantenimento dei tornei “femminili” sia utile o controproducente.
Dal 3 al 9 luglio al villaggio turistico Città del Mare di Terrasini, in Sicilia, i campionati italiani giovanili hanno raccolto 809 partecipanti nei dodici tornei open e femminili (dall’under 8 all’under 18) ma nemmeno una bambina o ragazza ha deciso di competere nei tornei misti: in definitiva 628 maschi hanno giocato negli open mentre 181 bambine e ragazze si sono iscritte ai tornei femminili. Vuol dire che la percentuale di partecipazione femminile è stata solo del 22%, come nell’edizione del 2021, che fece registrare un peggioramento rispetto al 25% del 2019, ultimo anno confrontabile prima dello stop dovuto alla pandemia. Sia nel 2018 che nel 2017 la partecipazione femminile era stata del 26%.
Se poi andiamo a vedere l’albo degli istruttori FSI di ogni livello, osserviamo anche qui percentuali delle istruttrici molto basse rispetto agli istruttori maschi, il che sicuramente non favorisce lo sviluppo di modelli educativi e agonistici più favorevoli.


Polgar Judit 1999jpg

Non meno di trent’anni fa l’esempio di Judit Polgar (qui in una foto del 1999) ha dimostrato che se una giocatrice evita fin da bambina i tornei femminili le sue chance di entrare nell’élite mondiale sono molto più alte, eppure la fortissima palermitana Clio Alessi anche quest’anno è stata iscritta al campionato femminile della sua fascia d’età, dove nell’under 10 ha bissato il 9 su 9 che l’anno scorso  aveva ottenuuto nell’under 8. Clio, che questa primavera ha colto un prestigioso quarto posto nel campionato mondiale rapid femminile, è sicuramente una grande promessa, ma le diciotto vittorie che le hanno permesso di trionfare ai giovanili del 2021 e del 2022 sono, se così si può dire, tempo perso per la sua crescita scacchistica. Credo che partecipare ai campionati cosiddetti "open" sarebbe per tutte le bambine e ragazze un'esperienza utile per prendere consapevolezza del proprio talento e individuare gli aspetti del gioco in cui migliorarsi.
Roberto Messa

Intorno alla questione femminile segnalo la proposta di cui all’editoriale di Torre & Cavallo di ottobre 2021, in cui scrivevo: «…Credo sia ora di mettere da parte le teorie e le discussioni e di buttare il cuore oltre l’ostacolo, ovvero abolire i tornei femminili, a titolo sperimentale in campo giovanile, dato che ai livelli agonistici più alti la Fide non è intenzionata a muoversi in questa direzione».
Il link all’articolo è https://www.messaggeroscacchi.it/?p=7351

Anche Dario Mione ha affrontato i problemi dello scacchismo femminile in un editoriale della nostra rivista, nel numero di maggio 2022, lo si può leggere a questo link:
https://www.messaggeroscacchi.it/?p=7453


Sullo stesso argomento, abbiamo ricevuto da Pasquale Colucci il contributo che segue:

Gli scacchi non hanno sesso
Un tema recentemente di moda sui social scacchistici (e non solo) è quello della presunta superiorità, specie ai livelli più alti, degli scacchisti rispetto alle scacchiste.
Alla luce delle mie esperienze sul campo in veste di Istruttore Giovanile FSI, maturate nell’arco di oltre un decennio (dal 2007 al 2018), ho elaborato su base empirica una mia teoria che vado ad illustrare.
Come premessa, faccio un breve excursus della mia attività di docente partendo da quello che fu il mio battesimo del fuoco: un corso extra-curricolare presso un Istituto Comprensivo in Provincia di Avellino durante l’anno scolastico 2007-2008, che vide la partecipazione di circa 120 ragazzi e bambini, equamente ripartiti tra Scuola Primaria e Scuola Media.
Non avendo all’epoca alcuna esperienza specifica in materia ad eccezione di un corso per adulti tenuto molti anni prima presso un circolo culturale, mi inventai un metodo didattico che si rivelò particolarmente efficace per quella fascia di età e che fu successivamente gratificato da un riconoscimento della FSI (fui uno dei 20 Istruttori a livello nazionale selezionati per uno stage formativo gratuito).
Il metodo da me ideato consisteva nel “mettere subito in campo il pallone”, in modo da non confondere né annoiare i discenti.
Dopo aver fatto un vago cenno alla natura del gioco – una guerra tra due contrapposti eserciti – ed aver mostrato loro il campo di battaglia ed i diversi pezzi in gioco, passai subito ad illustrare il movimento della Torre e li misi subito a sfidarsi tra compagni di banco: avrebbe vinto la gara chi avrebbe catturato entrambi i pezzi avversari (disponendoli ovviamente in case dalle quali non fossero immediatamente attaccabili con la prima mossa).
Quindi ripetei lo stesso schema con Alfieri, Donna e Cavalli, popolando man mano la scacchiera ed impegnando gli allievi in sfide progressivamente più complesse.
Ebbene, la cosa che mi colpì fu il differente approccio tra maschi e femmine: i primi muovevano i pezzi in modo frenetico ed istintivo, le seconde con cadenza più lenta e ragionata; i primi a volte, nella foga di spostare il pezzo, deviavano dalla sua traiettoria consentita mentre le seconde raramente muovevano in maniera errata, salvo in qualche caso non accorgersi che un pezzo fosse in presa.
Maturai pertanto la convinzione che le allieve fossero più ricettive rispetto agli allievi nell’applicazione delle regole di gioco.
Una volta completato il programma, feci disputare delle vere e proprie partite – senza uso degli orologi – prima tra compagni di banco (dello stesso sesso) e poi con abbinamenti random.  
In questa fase il trend cominciò a cambiare a favore dei maschi, che mediamente vincevano più partite rispetto alle loro avversarie.
A chiusura del corso, sottoposi tutti gli allievi ad un test scritto di verifica, in parte teorico (domande sul regolamento, sul valore dei pezzi, etc.) ed in parte pratico (quiz con diagrammi): in base ai punti realizzati (per ogni quiz c’erano in palio da 1 a 5 punti), i primi 20 in graduatoria sarebbero stati ammessi alla simultanea di chiusura, tenuta da me e da un altro rappresentante del Circolo di Avellino.
Gli ammessi furono equamente divisi tra i due sessi, rispecchiando alquanto fedelmente la composizione delle classi coinvolte nel progetto.
Furono messi in palio dall’Istituto degli attestati per i primi 3 classificati per ciascuno dei due gruppi di sfidanti, il mio e quello del collega di Circolo, da attribuire a coloro che fossero riusciti a resistere più mosse senza subire lo scacco matto.
Ebbene, qui ci fu il colpo di scena: dei 6 premiati, ben cinque furono di sesso maschile e solo una di sesso femminile!
In base a tale riscontro, elaborai – ovviamente sempre su base empirica – una seconda convinzione: a livello agonistico (premi in palio), i maschi performano mediamente molto meglio delle femmine.
Possiamo quindi concludere che il gap uomo/donna – dando per scontato un QI perfettamente bilanciato tra i due sessi – non sia dovuto, se non in minima parte, alla più numerosa base di sesso maschile dei praticanti, bensì a fattori di altra natura, per la cui individuazione cedo il campo agli esperti delle varie discipline competenti (sociologi, psicologi, antropologi, etc.).
Pasquale Colucci